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Scritto da Marianna Bandinu | Categoria: Bibbia  |  Pubblicato il 08/02/2024

Uno dei profeti più letti e commentati che ci guida nel tempo d’Avvento e nella Solennità del Santo Natale è senz’altro il profeta Isaia. Non c’è confessione cristiana che in questo tempo non ne legga alcuni passi, e le raffigurazioni iconografiche lo rappresentano quasi sempre con il rotolo con sopra inciso l’oracolo: «Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). Alla luce di queste parole intrise di speranza, nell’attesa di un concepimento e di una nascita prodigiosi, ci soffermiamo su questa profezia: la profezia dell’Emmanuele, il Dio con noi. 

Per spiegare questo passo biblico è necessario risalire al contesto storico. Nato intorno al 765 a.C., Isaia profetizza in un periodo molto difficile per la storia d’Israele a causa dell’invasione Assira. Siamo nel 734 a.C. quando il re Acaz, re di Giuda, trovandosi difronte alla guerra siro-efraimita, è tentato di chiedere sostegno ad una potenza straniera, l’Assiria. Il profeta Isaia lo sconsiglia vivamente, invitando Acaz a confidare e ad avere fiducia nella voce del Dio di Gerusalemme.          In questo clima di forte tensione, il profeta è chiamato ad annunciare un segno che viene da Dio:     la nascita di un bambino, segno di speranza e di vita nel contesto desolante della guerra.

La collocazione della profezia dell’Emmanuele (Is. 7,1-17) si ha nella prima parte del proto-Isaia, negli oracoli rivolti a Giuda e a Gerusalemme. Questa profezia può essere suddivisa, a partire dagli interventi di Dio, in due parti (7, 1-9) (7, 10-17). La prima parte si apre con un’introduzione storica. Il richiamo dei re permette di capire che è in corso la guerra siro-efraimita, lo apprendiamo dal tentativo fallito di espugnare Gerusalemme. Una particolarità del testo è l’insistenza sul termine «figlio» che si ripete più volte e che anticipa il tema della profezia, richiamando per ben due volte la «casa di Davide» (vv. 2.13). L’intento della guerra è colpire il casato del re e la sua discendenza. 

Il profeta avverte il dolore e la paura del popolo, e il narratore ce lo esprime paragonandoli ad alberi agitati dal vento, ma la stessa immagine perde tutto il suo vigore davanti alla parola del Signore che paragona i nemici ad «avanzi di tizzoni fumanti» (Is. 7,4). In questo contesto, Isaia è chiamato da Dio ad andare dal re e ad annunciare la salvezza e la consolazione. Il Signore rassicura: «non temere» (7,4), un invito alla fede e alla fiducia, perché i nemici che appaiono come un vento impetuoso altro non sono che povero fumo. 

La seconda parte (Is. 7,10-17), si sviluppa intorno ad una dinamica dialogica tra Dio ed Acaz. Dio è molto generoso e propone ad Acaz di chiedergli un segno, un segno che Dio offrirà gratuitamente, ma il re rifiuta tale proposta, perché dice: «non lo chiederò, non voglio tentare il Signore», ma in realtà, Acaz, non vuole vincolarsi politicamente con la fede. Alla chiusura di Acaz, Dio, essendo fedele alla promessa fatta a Davide, risponde offrendo un segno storico e concreto, la nascita di un bambino: «Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio e gli porrà nome Emmanuele» (Is. 7,14). 

La nascita di un bambino è innanzitutto un segno di speranza malgrado la distruzione. Un bambino che nasce indica la vita che continua e che non verrà devastata. A concepirlo e a partorirlo, sarà una «giovane donna» figura anonima, che la versione greca dei Settanta, con grande intuito, ha definito una vergine (parthénos), e non una semplice giovinetta. Inoltre, nel testo tutti i verbi sono al futuro, orientando cosi il significato ad una «portata messianica dell’oracolo, cosa che il NT evidenzia pienamente, scorgendovi una profezia del concepimento verginale di Maria, la madre di Gesù»1.

Questa donna darà al bambino il nome di Emmanuele che letteralmente suona: “Con noi è Dio”. Come già abbiamo visto in Osea, dare dei nomi ai piccoli è una dinamica profetica classica, segno che i figli sono portatori di un chiaro messaggio divino. Infatti, il bambino che nascerà si nutrirà di «panna e miele» (Is. 7,15), simboli della terra promessa e segno della benedizione divina, ma anche cibo con cui viene nutrito un bambino piccolo. La promessa divina si compirà, ma bisogna attendere che il bambino cresca ed assuma la capacità di ragione.

La conclusione della profezia assume una prospettiva cupa a causa dell’incapacità di Acaz di credere nella grandezza di Dio, ma tutto è nella volontà divina, perché è Dio a guidare la storia.   Il Signore stesso sarà l’autore della disfatta di Giuda attraverso il re di Assiria: «Il Signore manderà su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non vennero da quando Efraim si staccò da Giuda: manderà il re di Assiria» (Is. 7,17). Tuttavia, rimane la certezza che la speranza data dal bambino non potrà essere distrutta da nessun popolo straniero, poiché Dio non abbandona, ma continua a portare avanti la sua promessa di salvezza nel casato di Davide.

 

 

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1 -  P. Rota Scalabrini, Sedotti dalla Parola, 69.

 

 

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