Scritto da p. Tommaso Pio Fatone | Categoria: A Proposito di Noi | Pubblicato il 23/04/2025
Quando papa Benedetto annunciò al mondo le sue dimissioni l’11 febbraio di 12 anni fa e si cominciava a pensare al suo possibile successore, da molti si auspicava che i cardinali eleggessero un papa speciale, magari francescano, perché testimoniasse al mondo che la Chiesa non è il Vaticano con tutte le sue strutture e le sue presunte ricchezze, la pedofilia e gli altri scandali (spesso pompati ad arte dai media), ma quello che essa è veramente, ossia una Chiesa povera al servizio dei poveri, nonostante le incoerenze e i peccati dei suoi membri.
Ricordiamo il clima chiaramente ostile alla Chiesa che si respirava in quel periodo, con un papa troppo spesso preso di mira dai potenti media a causa della sua intransigente difesa dei valori non negoziabili, e con una Chiesa sempre più screditata dai tanti scandali.
Non bastava evidentemente più la chiarezza dottrinale del sapiente papa teologo a guidare la Chiesa, ma forse c’era bisogno di un papa che riuscisse a smuovere i cuori, capace nello stesso tempo, di farsi apprezzare dai media, così come san Francesco riuscì a fare con tutti e perfino col sultano in Terra Santa quasi otto secoli prima.
E così è stato! Quel conclave infatti ci donò proprio Francesco, un papa francescano nel nome e nell'animo, ancorché gesuita per vocazione e formazione. Un nome che è stato fin dall'inizio il suo programma: come il poverello di Assisi, papa Francesco ha infatti messo il vangelo “sine glossa” davanti a tutto.
È stato infatti il vangelo a ispirargli di presentarsi sul loggione, appena eletto, salutando il popolo semplicemente con un "buonasera" e definendosi solo “vescovo di Roma”; è stato sempre il vangelo a ispirargli il motto (Miserando atque eligendo: guardando con misericordia e scegliendo), ponendo così la misericordia come paradigma del suo ministero petrino; è stato ancora il vangelo a spingerlo dappertutto per riportare all’ovile la "pecorella smarrita", senza temere di lasciare le "novantanove nel deserto" (probabilmente non poco contrariate); è stato quel vangelo a procurargli più nemici dentro la Chiesa, ma molti più amici fuori; è stato il vangelo a fargli dire che i poveri, i malati, gli ultimi, i profughi, gli emarginati sono la “carne di Cristo”; è stato il vangelo che gli ha fatto paragonare la Chiesa a un "ospedale da campo", china cioè sulle ferite dell'umanità; è sempre il vangelo a fargli dire a noi sacerdoti che siamo veri pastori solo se portiamo addosso "l'odore delle pecore", cioè se siamo vicini alla gente; è stato quel vangelo a spingerlo a denunciare l'ipocrisia della politica e anche la nostra indifferenza davanti alle tragedie umanitarie, troppo spesso colpevolmente dimenticate; e sempre quel vangelo a fargli gridare che nel mondo siamo tutti fratelli, senza pregiudizi né barriere di qualsiasi tipo; è stato proprio il vangelo a spingerlo all’impegno per la salvaguardia del creato; ed è sempre stato lo stesso vangelo a mettergli nel cuore fino all’ultimo istante l'assillo per la pace.
Papa Francesco è stato prima di tutto un sacerdote, e questo ha voluto essere anche da papa, restando semplice, diretto, alla mano. Come un semplice parroco. È così è stato il parroco di tutti, il parroco del mondo. Lui che pensava ai grandi problemi del mondo, senza trascurare i piccoli drammi delle persone qualunque. E così si avvicinava, scriveva o chiamava al telefono ora questo ora quello, per dare una parola di conforto o di incoraggiamento.
Chissà che la sera di questa domenica di Pasqua - dopo che al mattino aveva dato dalla loggia di san Pietro, pur con un filo di voce, la sua ultima benedizione “urbi et orbi” ed essersi concesso, stremato com’era, un ultimo bagno di folla con la papamobile per salutare e ricevere l’ultimo affettuoso e grato saluto dai suoi amati fedeli – papa Francesco non si sarà detto, come il Signore sulla croce: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30); e poi, recitando compieta, nel dire con l’anziano Simeone le parole “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola” (Lc 2,29), chissà che non abbia anche presentito il suo imminente commiato da questo mondo.
Papa Francesco è morto nell’ottava di Pasqua e nella novena della Divina Misericordia; così come giusto vent’anni prima il suo predecessore san Giovanni Paolo II. Tutto veramente è stato compiuto, e per l’uno e per l’altro!
Noi ricorderemo papa Francesco sempre e con gratitudine con la talare bianca, le sue ordinarie scarpe nere, la borsa in mano e il suo sorriso semplice e contagioso, mentre parte per le vie del mondo a portare il vangelo della gioia.
Grazie, Francesco! Prega da lassù per noi!