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Scritto da Ivano Sassanelli  | Categoria: Cultura

Quanto dirò in queste poche righe è il frutto di pensieri maturati nel corso degli anni e che hanno trovato una concretizzazione piena in un mio libro scritto qualche anno fa, intitolato “Cristo e la solitudine di Dio e dell’essere umano” (Cacucci Editore, 2018).

In questo, e negli prossimi articoli, riprenderò alcune delle riflessioni contenute in quel libro al fine di cercare – e si spera di trovare – una via sulla quale incamminarsi e che permetta di passare dalla “solitudine alla vita”.

Parte Prima: 

I volti della solitudine

Nella società attuale il tema della solitudine è spesso trattato sotto aspetti distinti ma connessi tra loro: quello esistenziale, filosofico, psicologico, sociologico, medico e affettivo. Una prospettiva che, invece, sembra quasi sempre elusa è quella inerente la dimensione spirituale e teologica: ossia quella prospettiva che fa dialogare il concetto di solitudine con il mistero del Verbo incarnato e, quindi, con la Rivelazione trinitaria di Dio. Proprio in quest’ultima prospettiva risulta interessante e convincente affrontare il suddetto tema partendo dalla figura storica di Cristo. Infatti, per il cristiano di tutti i tempi, è Gesù Cristo il riferimento primo e ultimo: Egli è il frutto più bello della creazione; è Colui nel quale tutto viene ricapitolato; è l’Uomo perfetto (ossia compiuto e completo). La figura storica di Cristo, del “Gesù reale”, nella quale si è realizzata l’unione ipostatica tra Dio e l’uomo, è ciò da cui partire per comprendere il vero senso della solitudine in rapporto alla libertà. Cristo, quindi, da un lato svela il volto del Padre e dall’altro dice all’essere umano quale è la sua vera natura, recuperandolo al senso essenziale della vita, alla sua unicità ed irripetibilità. Sulla scorta di tutto questo, è opportuno esplicitare il senso del concetto di solitudine. Molte potrebbero essere le definizioni e classificazioni ma, per comodità espositive, ne sceglieremo soltanto sei. Tali descrizioni, nel corso della nostra riflessione, entreranno in collegamento l’una con l’altra e si relazioneranno al mistero di Dio e dell’uomo. In primo luogo la solitudine può essere intesa come assenza o privazione di qualcosa o qualcuno. In tale contesto si può, di fatto, “essere soli” oppure ci si può “sentire soli” a causa di una mancanza fisica o affettiva e sentimentale. In questo ampio contesto si collocano l’esperienza dei grandi lutti e perdite della vita, la morte e la malattia, la lontananza e così via. In secondo luogo la solitudine può essere intesa – al contrario della prima – come presenza. Tale solitudine viene provocata dai grandi avvenimenti dell’esistenza umana come l’amore e la scoperta della fede e del rapporto con Dio. In questo contesto la vita viene sconvolta e trasformata. Si viene trasportati, incredibilmente, in un “altrove” nel quale non ci si sarebbe mai aspettati di giungere. Strettamente connessa con tale solitudine è la dimensione dell’estasi come punto cruciale di un percorso spirituale ed emotivo che porta il soggetto in un’altra dimensione, oltre se stessi. È ciò che Dante ha definito magnificamente con il termine “trasumanar” che “significar per verba non si poria”. In terzo luogo può esistere una solitudine che si potrebbe definire ideologica o culturale. Tale solitudine può essere a sua volta indotta (per esempio nel momento in cui si viene esclusi a causa del proprio modo di essere o pensare e della propria fede oppure perché si è ritenuti dalla società o dai singoli come “inferiori” e non meritevoli di considerazione) oppure, al contrario, voluta (nel momento in cui scientemente il soggetto decide di allontanarsi dal mondo in cui vive, e che non condivide più, per rifugiarsi in un “proprio mondo” che ci si è costruiti al fine di trovare il senso più profondo del proprio esistere). In quarto luogo la solitudine può essere patologica ossia derivante da una malattia mentale di origine psichiatrica che stacca il soggetto dal proprio contesto e lo strania al punto tale da modificare la sua percezione della realtà circostante. In quinto luogo la solitudine può essere esistenziale. L’essere umano spinto dalle vicende della vita si può trovare dinanzi a grandi scelte sapendo di essere il “solo” a poterle compiere. In questo contesto le proprie certezze e i riferimenti primi e ultimi della propria vita possono vacillare mettendo in uno stato di “crisi” – di “scelta” per l’appunto – il soggetto agente. La persona umana, immersa in tale solitudine, spesso non sa cosa fare della propria esistenza e quali scelte compiere soprattutto in riferimento ai propri cari. In ultimo la solitudine può essere associata al silentium dei chiostri dei monasteri, delle chiese parrocchiali o delle camere delle nostre case. Tale solitudine non è una fuga dal mondo ma anzi è immersione profonda nel senso dell’esistenza umana che, per esempio, attraverso la meditazione, l’adorazione, la lectio divina e le pratiche spirituali, approda a uno stato di perenne contemplazione che forgia lo spirito umano e che connette, nella vita quotidiana, l’assenza di suoni alla presenza di Dio. La preghiera continua, vissuta personalmente e comunitariamente, si fa, così, adorazione di Cristo salendo al Padre come incenso profumato. In questo silenzio orante il singolo credente e l’intera comunità cristiana riscoprono la propria essenza: l’essere umano diviene “Tempio dello Spirito Santo”.

 

 

 

Editoriale

  • 2024-10-18 Preghiera, raccolta e Animazione missionaria
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