Scritto da Marianna Bandinu | Categoria: Bibbia | Pubblicato il 28/10/2024
“Il Signore mi mostrò due canestri di fichi
posti davanti al Tempio del Signore…
Un canestro era pieno di fichi molto buoni, come i fichi primaticci, mentre l'altro canestro era pieno di fichi cattivi, così cattivi che non si potevano mangiare”.
(Geremia 24,1-2)
L’attività profetica del giovane Geremia si svolge in un periodo piuttosto drammatico della storia del Regno di Giuda. Gerusalemme viene data alle fiamme con il Tempio e il palazzo reale, le sue mura vengono completamente distrutte, e gli abitanti deportati. Assistiamo al passaggio dal dominio della potenza Assira a quella Babilonese. Lo scandalo per la fede d’Israele è grande: la città di Davide è rasa al suolo, il Tempio non è più abitato dal Dio di YHWH, e il popolo viene deportato in un lungo esilio. E’ in questo contesto che Dio chiama Geremia ad annunciare al popolo la fine, ma anche il proseguo della storia d’Israele con il ritorno degli esiliati nella Terra.
Nella letteratura profetica, Dio annuncia il suo messaggio non solo attraverso la parola, ma ad essa, affianca anche numerose immagini e visioni, attraverso cui è dato di scorgere qualcosa del piano del Signore sulla realtà. Proprio in quanto «veggente», al profeta è concesso di vedere aspetti della vita ignorati o misconosciuti dai più: egli vede l’ingiustizia nascosta, ma al tempo stesso la salvezza che Dio prepara oltre le tragedie e le sofferenze della storia. Il profeta è l’occhio di Dio nella storia.
Tra le diverse visioni che troviamo in Geremia, ci soffermiamo sul capitolo 24, in cui Dio mostra al profeta due cesti di fichi posti davanti al Tempio, uno pieno di fichi molto buoni, l’altro contenente fichi cattivi, al punto tale da non poter essere mangiati. Entrambi, prefigurano il destino futuro delle due comunità di Giuda. Da una parte la benedizione per coloro che sono esiliati, i quali vengono scelti dal Signore come vera comunità per continuare il Suo progetto di salvezza, dall’altra, la maledizione per la comunità rimasta in Giuda, unico strumento da parte di Dio per donare nuova vita ad Israele.
Dio apre il sipario come in un teatro, e lo sguardo del profeta è totalmente rapito dalla «visione»: «Il Signore mi mostrò due canestri di fichi posti davanti al Tempio del Signore» (Ger. 24,1). Nella scena la presenza di Dio è preminente, Geremia ne è solo spettatore. Dio non utilizza da subito la potenza della Sua parola, ma adopera l’efficacia di un’immagine, immagine che ha un effetto prorompente agli occhi di colui che la osserva. Punto centrale di questa visione sono gli stessi oggetti, “i fichi” e il valore simbolico che essi rappresentano, ossia il popolo ebraico. Inoltre, appare evidente il luogo in cui questi sono posti. Ci si trova presso un luogo santo, davanti al Tempio: tutto il popolo d’Israele è al cospetto di Dio.
Successivamente, la scena inizia a prendere forma. Dopo aver coinvolto la vista del profeta, ora Dio vuole coinvolgerne il gusto, per far partecipare interiormente il destinatario al Suo messaggio. Lo sguardo di Dio e del profeta, cosi come il gusto, devono viaggiare all’unisono ed essere sulla stessa lunghezza d’onda, affinché il profeta colga il vero senso della visione. Nonostante le due realtà siano uguali (fichi), spicca in maniera lampante la loro diversa qualità. E’ l’avverbio superlativo «molto» che segna la distanza e il grado di separazione tra le due realtà. La differenza degli oggetti non è nel loro aspetto, ma nel loro sapore, sebbene questi non vengano assaggiati: «Un canestro era pieno di fichi molto buoni, come i fichi primaticci, mentre l'altro canestro era pieno di fichi cattivi, così cattivi che non si potevano mangiare» (Ger. 24,2).
L’immagine inizia a prendere consistenza e ad essere decifrata. Nella prima parte della pericope c’è l’identificazione dei fichi gustosi che Dio identifica con i deportati, sono loro la delizia di Dio! L’esodo in Babilonia è stato una scelta della volontà di Dio. E’ Dio che ha mandato in esilio una parte del suo popolo, ed è Dio che lo farà tornare nella Terra, dono gratuito del suo amore. Un Dio che manda in esilio e poi libera. Un Dio che condanna e poi dà vita, donando loro un cuore nuovo: «Darò loro un cuore capace di conoscermi, perché io sono il Signore» (Ger. 24,7). L’azione sembra paradossale, ma è ricolma di speranza, poiché, ciò che egli ha pensato è solo «per il loro bene» (Ger. 24,6). L’esperienza esilica è una benedizione per quella parte di popolo che Dio ha scelto.
Nella seconda parte vengono identificati i fichi marci con la comunità rimasta in Terra di Giuda, comunità che non è degna del dono della Terra, perché non riconosce la grandezza del Dio d’Israele dunque, deve essere eliminata: «Manderò contro di loro la spada, la fame e la peste, finché non saranno eliminati dalla terra che io diedi a loro e ai loro padri» (Ger. 24,10). Il Signore non vuole davanti a sé fichi cattivi, immangiabili, poiché nocivi per la salute degli altri, anche di quelli buoni, pertanto, il giudizio conclusivo è di eliminarli, facendoli scomparire dalla Terra attraverso la maledizione: «Li renderò un esempio terrificante per tutti i regni della terra, l’obbrobrio, la favola, lo zimbello e la maledizione in tutti i luoghi dove li scaccerò». (Ger. 24,9).
Il sipario si chiude, le immagini sfumano, le luci si spengono. Si assiste inaspettatamente ad un cambio di rotta di cui l’uomo non ha la capacità né la possibilità di comprendere. Coloro che si pensava fossero giusti secondo i criteri umani perché rimasti nella Terra, sono ritenuti maledetti agli occhi di Dio, mentre, coloro che erano considerati empi e dunque meritevoli di condanna (esilio), sono considerati benedetti dal Signore. E’ attraverso questi ultimi che Dio sceglie di continuare la storia della salvezza. Tutto ciò mostra l’onnipotenza libera che il Signore ha nel suo agire, lasciando l’uomo, anche l’uomo credente senza parole, ed il silenzio di Geremia conferma questa disposizione d’animo.