Scritto da Vito Fascina | Categoria: A proposito di noi | Pubblicato il 14/01/2025
C’è un’aria frizzante e gli alberi sono scossi da un bel vento di tramontana, in questi giorni a Valenzano. Pare come se lo Spirito Santo volesse prepararci ad un lieto evento, atteso con forte apprensione e vera gioia in paese.
Oggi la parrocchia di San Rocco, con il suo parroco, padre Jean-Claude Nzembele, vive un momento di festa inattesa e perciò carica di entusiasmo e speranza vera. Viene a trovarci il nunzio apostolico per la Repubblica Centrafricana e il Ciad, mons. Giuseppe Laterza.
C’è un silenzio profondo, quando il nunzio inizia l’omelia. “Oggi è la domenica della gioia e la gioia significa che vogliamo essere felici”, esordisce il prelato. A questo riferimento positivo l’ attenzione diventa ascolto profondo. Non vogliamo perdere una battuta. In sequenza, vengono proposti i motivi della gratitudine dai più piccoli fino ai nonni. Nessuno viene dimenticato, perché un padre, come è un vescovo, dall’alto unisce tutti e incoraggia ciascuno.
“Una cosa unisce tutti questi mezzi, che ho citato, … il fine della gioia è Gesù”. La predica sta diventando minuto dopo minuto, una sinfonia di note dolci, di carezze per i nostri cuori, spesso induriti, da vane preoccupazioni e pensieri poco grati. “I mezzi non devono prendere il posto di Gesù […]. Ecco il vostro parroco è stato a Bangui per tanti anni. Per me è stata la prima volta; sono arrivato in Africa, 2 anni fa. Una cosa di cui mi sono subito impressionato è stato vedere gente molto povera, povera veramente, perche lì povertà significa sul serio non avere nulla da mangiare, non potersi comprare una medicina, quando si è ammalati …” e mentre parla si rivolge ai bambini, nelle prime file, a cui ricorda, che essere poveri, per noi significa solo non poter avere un altro giocattolo costoso, o non poter fare un viaggio con la famiglia, “ … e la cosa che mi ha meravigliato è che questa popolazione è felice, pur non avendo niente e sorridono sempre. Dai loro una caramella e sembra che abbiano ricevuto il dono più grande”.
“Chiedi alle persone come si va e tutti rispondono: si va bene, ringraziamo il Signore. Allora ho capito che la gioia non dipende dalle cose che abbiamo, ma dipende da Colui che abbiamo; non sono le cose che ci procurano la gioia, ma la gioia ce la procura solo Gesù. Gesù è la nostra gioia, perché Lui è il senso delle cose”.
Poi spiega ai bambini che Gesù non è un’idea, una filosofia: “Il cristianesimo è una prassi di vita, il Vangelo è qualche cosa non soltanto da ascoltare, ma è qualche cosa da mettere in pratica ed ecco che la liturgia di oggi ci presenta una grande figura dell’Avvento: Giovanni Battista. Lui è il testimone. Non c’è vera gioia cristiana senza la testimonianza. Ma che cosa rappresenta la testimonianza ? Non è un modo di dire: io sono un testimone di Gesù. Essere testimoni significa mettere concretamente il Vangelo in pratica, ossia fare opere di giustizia. È la stessa domanda che pongono al Battista, quella che oggi mi ponete voi: <<Padre, che cosa dobbiamo fare per vivere concretamente oggi il Vangelo>> ? Gesù ci dice: <<chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ce l’ha; chi ha di più, ne dia a chi ha meno>>. Questa è la missione”.
Poi ha parlato della missione degli Apostoli di Gesù Crocifisso in Centrafrica: “Ho visitato più volte la vostra missione di Bimbo, una sub-prefettura di Bangui, dove le necessità sono tante e dove la chiesa sorge in mezzo alla povertà della gente e alle capanne. Non avete idea che cosa siano le case di Bangui; pensate, e lo dico con rispetto, i nostri animali domestici vivono, qui in Europa, in modo più dignitoso di questa gente e lì la missione è un segno di speranza. La missione della Chiesa non nasce da un atto di buona volontà, perché siamo buoni, o generosi, è un nostro dovere, che nasce da un senso di giustizia. Permettetemi queste parole forti: <Noi abbiamo rubato a questa povera gente>. Vi rendete conto, cari bambini, cari adulti, la Repubblica Centrafricana fornisce circa l’80% dei diamanti di gioielleria del mondo; soltanto lo scorso anno, sembrerebbe che siano stati estratti 5 tonnellate di oro puro, ma di tutta questa ricchezza non è rimasto un centesimo, perché le grandi potenze, le grandi compagnie che continuano a rubare queste risorse.
Se non avessimo le risorse dell’Africa, dico sempre, e dell’America Latina non potremmo vivere nella maniera in cui viviamo; la nostra è un’economia di trasformazione, finanziaria … noi viviamo, sfruttando gli altri e di questo dobbiamo chiedere perdono a Dio. Costruire le missioni è un atto di giustizia, perché è un atto di restituzione, di minima restituzione di quello che noi prendiamo e deprediamo”.
Poi le riflessioni finali e le domande sottese: “Padre, però non siamo noi a prendere queste ricchezze, ma sono le nostre potenze occidentali a farlo”. “Nel giudizio, un giorno, non ci sarà soltanto un giudizio personale, ma anche storico e di questo noi dobbiamo sentirci tutti responsabili. Certamente, non siamo i grandi della terra; non possiamo con le nostre decisioni cambiare le sorti del mondo; però possiamo nelle nostre famiglie, con gli amici, nei nostri piccoli circoli imparare ad educare alla legalità, imparare il rispetto, ad educare all’accoglienza, alla generosità. Talvolta viviamo in una cultura dell’egoismo e questo si riflette nei piani alti della politica internazionale. Quando diciamo noi davanti a tutto, commettiamo un peccato d’ingiustizia; invece dovremmo iniziare ad educarci in famiglia e nei piccoli gruppi a questa sensibilità per l’accoglienza. Allora vedremmo che la gioia del Signore entrerà nelle nostre società; è strano, ma le società più ricche sono quelle con il maggior numero di suicidi; sono quelle dove ci si ammala di depressione, ci si ammala di altre malattie legate alla psiche e viene da pensare, perché ? Può darsi che abbiamo tutto, e quel tutto lo abbiamo, non sempre rispettando gli altri e le loro risorse. Abbiamo tutto, ma non abbiamo l’essenziale. Abbiamo perduto l’essenziale, che è il Signore. Solo il Signore ci dà la pace ed il Padre entra in noi, se siamo capaci di fare opere di carità, ossia di condividere ciò che Lui ci ha dato”. “Padre, però anche qui abbiamo poco”. “In Africa si muore di fame, … ma non uscirai mai da una casa di africani senza che avranno messo su una tavola, quel poco o nulla che hanno. Facciamoci un esame di coscienza e rinunciamo almeno al superfluo. Basterebbe ciò per essere più generosi con gli altri”.
Un lungo e caloroso applauso sgorga dal silenzioso, attentissimo e attonito popolo dei fedeli. Che dono, questa mattina !
E, tornato a casa, rileggo nuovamente le parole che Papa Francesco aveva inviato a tutta la Chiesa del mondo, tre giorni prima, facendo pubblicare il Messaggio per la LVIII Giornata mondiale della pace sull’Osservatore Romano: “Non mi stanco di ripetere che il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso cui alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati […]. Il cambiamento culturale e strutturale per superare questa crisi avverrà quando ci riconosceremo tutti figli del Padre e, davanti a Lui, ci confesseremo tutti debitori, ma anche tutti necessari l’uno all’altro, secondo una logica di responsabilità condivisa e diversificata. Potremo scoprire <una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri>”.