Scritto da p. Michele M. Momoli | Categoria: Formazione | Pubblicato il 12/11/2024
Mons. Bizzeti chiarito il suo modo di intendere la vocazione sviluppa un ulteriore passaggio: la vocazione intesa come relazione, come rapporto con gli altri, “il guardarsi attorno”: di cosa hanno bisogno le persone che ti stanno attorno, cosa ha di bisogno la Chiesa? La vocazione si costruisce dentro un network di relazioni altrimenti è una cosa un po’ inventata. Allora la vocazione è una storia che costruisco insieme al Signore e insieme agli altri. Allora la vocazione è risposta ad una chiamata di Dio e degli uomini e donne del nostro tempo. Mons. Bizzeti parlando della sua vocazione (Papa Francesco l’ha chiamato a 68 anni a fare il vescovo in Turchia) sottolinea il fatto che essa necessiti di essere re-interpretata continuamente. Il quel contesto della chiamata del Papa, pur essendo già molto impegnato, ha riconosciuto un urgenza, una necessità della Chiesa, c’erano persone che da 5 anni aspettavano un vescovo dopo il martirio di mons. Padovese.
È molto profondo il concetto che dà il vescovo del rapporto storia- vocazione: “La storia non è un invenzione di oggi, non è nemmeno rimanere così fedelmente ancorati ad un passato che è passato. Ma è dare oggi una risposta nuova partendo dall’avere un patrimonio dentro di sé che ti viene consegnato dalla Chiesa e dalla società (…) c’è una storia che chiede anche a me di dare il mio contributo ”. Quindi specifica gli ambiti della vocazione: “una vocazione ha una dimensione culturale, sociale, politica non solo religiosa. Guai se si rinuncia a queste dimensioni umani fondamentali”. Ogni persona quindi è chiamata a dare il proprio contributo accompagnata dalla guida della Chiesa.
Il prelato affronta anche la tematica delle debolezze nel contesto della vocazione rifacendosi all’episodio dei discepoli di Emmaus. Gesù si fa accanto alla loro debolezza, alla loro crisi e li aiuta a tirar fuori le loro paure, le delusioni e “rielaborando la loro avventura alla luce della Parola di Dio li porta ad un nuovo stadio e infatti il risultato è che tornano contenti a Gerusalemme”. Queste parola di mons. Bizzeti ci fanno capire come la vocazione deve essere radicata nella storia e nella storia di ognuno di noi. Tutto nell’uomo deve essere integrato in Cristo.
Il vescovo illustra un altro elemento di autenticità della vocazione che applica poi alla sua esperienza personale: “Una vocazione autentica trova sempre una radice nella Parola di Dio e ognuno è preso da qualche aspetto della Parola che tocca lui ad interpretare, vivere ed incarnare ”.
Mons. Bizzeti testimonia che la figura di san Paolo è stata decisiva per la sua scelta vocazionale. Lo affascina l’apostolo delle genti che non era limitato ad un territorio ma il luogo del suo apostolato era il mondo. Per questo il mons. scelse di entrare nella Compagnia di Gesù perché disposta ad andare dove la Santa Sede chiama. La vocazione parte sempre dal fascino, dall’attrattiva.
Le ultime parola sono spese per dare un quadro sintetico di quando esposto a proposito della vocazione di ogni uomo: “è in questo contesto della grande storia del mondo, della grande storia del popolo di Dio e della mia piccola storia, della storia della mia famiglia, del mio clan, del luogo dove sono nato e cresciuto, del luogo dove oggi sono chiamato a vivere, è l’insieme di tutte queste storie che vanno rielaborate in funzione di arrivare a dire quella parola, quel contributo che solo io posso dare, che solo ciascuna persona può dare perché ognuno di noi ha una parola irripetibile da dare concretamente a partire dai suoi doni, dalle sua capacità ma anche a partire dai suoi dolori, ferite, limiti che se ben interpretati alla luce di Dio saranno molto spesso quello che permette di essere compagno di strada degli uomini e delle donne del nostro tempo perché hanno bisogno di compagni di viaggio”.
Partendo dalla testimonianza del vescovo potremmo trarre una sintesi alla luce del nostro progetto capitolare. Il principio n.4 del nostro progetto capitolare ci invita ad “aprire gli occhi alla nuova realtà e (…) a dare prospettive di speranza, di misericordia, di profezia”(PC, Vocazioni 1, p. 16).
Questo significa anche saper accompagnare i giovani, i candidati e i membri nella formazione iniziale tenendo maggiormente in considerazione la storia di ognuno, accogliendo le differenze come ricchezza per la comunità evitando di “inquadrare” le personalità ma aiutandole ad rielaborare il proprio patrimonio culturale alla luce della Parola di Dio affinché ognuno possa servire Dio e i fratelli nell’unicità del suo dono. Questo esige che i formatori siano in grado di “con-vocare, cioè essere disponibili a stare con i formandi, “spendendo tempo” nella formazione (cf. PC, Vocazioni 1, proposte p. 16) ed avere la volontà e la capacità relazionarsi con candidati di culture differenti (cf. PC, Formazione 2, proposte p. 14 PC)
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