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Scritto da Mara De Filippis | Categoria: Formazione

Un tema centrale, nel pensare e sognare la pastorale giovanile, è dato  dall’ascolto, dal crescere nell’arte di saper ascoltare, come emerge anche dai punti 6-8 del Documento finale del Sinodo sui giovani. Scrive papa Francesco, che l’ascolto si caratterizza non tanto come una raccolta d’informazioni ma come la forma in cui Dio stesso si rapporta al suo popolo, vede la sua miseria, ne ascolta il lamento, si lascia toccare nell’intimo e scende per liberarlo (Es. 3, 7-8).

La Chiesa quindi attraverso l’ascolto entra nel movimento di Dio, che nel Figlio viene incontro ad ogni essere umano [...]Prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciare emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione. L’ascolto, quando è autentico, non offre risposte preconfezionate. Ecco la conversione: passare da accompagnamenti centrati esclusivamente sull’attenzione ai comportamenti, ad una vicinanza che educhi alle grandi domande di senso! Si tratta di maturare, per ogni educatore, un atteggiamento di povertà, quasi celibatario, dinanzi alla vita dei ragazzi, accompagnandoli nell’arte di leggersi dentro. Ecco perché il Papa dedica espressamente un capitolo sull’accompagnamento personale e vocazionale, dando un’interpretazione ampia alla parola vocazione, legata ai temi dell’identità, dei sogni, dei desideri, delle basi su cui il ragazzo intenda costruire la propria vita. Non è un caso che venga citato l’episodio di Emmaus, quando Gesù si affianca ai due discepoli delusi, cammina con loro e chiede di cosa stiano parlando, condividendone la sofferenza. 

Convertirsi alla pastorale giovanile vocazionale significa assumersi, responsabilmente, la scelta di fare dell’accompagnamento il perno centrale del nostro agire verso i giovani, sicuri che il Signore ci precede nel loro cuore.

Anche i ragazzi che sono lontani dalle nostre comunità, si pongono le domande fondamentali della vita. Alcuni anni fa, un testo molto bello della Cei “Lettera ai cercatori di Dio”, fu un tentativo per intavolare un dialogo con i non-credenti, a partire dalle grandi domande esistenziali. Se in una scuola, per esempio, iniziamo a parlare di salvezza, paradiso, peccato, non suscitiamo l’interesse dei ragazzi perché essi non capiscono il nostro linguaggio, pur percependone il valore sotteso. Il tempo presente ci chiede di abbandonare le nostre abituali categorie linguistiche e di provare ad usare quelle dei giovani. Questa è la pedagogia di Dio: Egli ci rivolge parole che possono essere comprese da noi, a nostra misura. Questo è il mistero dell’Incarnazione! Dio che era il trascendente, l’inarrivabile, il tre volte Santo, si è fatto uomo in Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi!

Allora, la conversione richiede di passare dall’incontro alla condivisione; dalle informazioni alle domande; dalle riposte agli interrogativi, adeguandosi all’esigenze dei ragazzi. 

Sull’ accompagnamento personale ci sono paragrafi bellissimi, sia nel documento finale (n. 97), sia nell’esortazione che ne è seguita, Christus Vivit: L’accompagnamento è un processo che intende aiutare la persona ad integrare progressivamente le diverse dimensioni della vita, per seguire il Signore Gesù. In questo processo si articolano tre istanze, l’ascolto della vita, l’incontro con Gesù e il dialogo misterioso tra la libertà di Dio e la persona […] Nell’accompagnamento s’impara a riconoscere, interpretare e scegliere nella prospettiva della fede, in ascolto di quanto lo Spirito suggerisce all’interno della vita di ogni giorno (cfr. Evangelii gaudium, n. 169-173)”.

Riconoscere significa accompagnare i giovani a leggersi dentro, a vedere che cosa si muova nella loro vita; interpretare conduce alla domanda: Cosa stai cercando in quello che fai? Qual è il tuo desiderio profondo, qual è la tua fame? Questo permette di giungere al terzo passaggio: scegliere per la vita, pur nella consapevolezza che le scelte sono fatte di errori e tentativi. Evidentemente, questi tre passaggi che per esigenze di riflessione separiamo e categorizziamo, nella vita ordinaria si intrecciano, si richiamano, si rincorrono anche abbastanza confusamente.

Al n.99 il Sinodo riconosce la necessità di promuovere un accompagnamento integrale, in cui gli aspetti spirituali siano ben integrati con quelli umani e sociali, per poter formare giovani umanamente e relazionalmente maturi. 

L’ultima considerazione riguarda l’accompagnamento come realtà ecclesiale e comunitaria. Esso necessita di un lavoro di rete, comunitario, non affidato ad una singola persona, seppure carismatica. Il discernimento è sempre ecclesiale e si concretizza con la capacità di distacco, esigenza innanzitutto di coloro che accompagnano. Sulla strada verso Emmaus, proprio nel momento del riconoscimento, il Risorto scompare! E ai malati o agli indemoniati guariti che vogliono seguirlo, il Signore raccomanda loro di tornare nelle proprie famiglie; quasi li allontana da sé, proprio come ogni buon educatore dovrebbe fare! È necessario abbandonare i personalismi! L’idea di uno che va avanti da solo e lascia gli altri indietro, non è nella logica evangelica! Meglio compiere mezzo passo insieme che cinque da soli! Certo, procedere in questo modo è più faticoso e richiede un discernimento e un lavoro costanti su di sé, ma è profondamente necessario da un punto di vista evangelico, affinché il lavoro pastorale sia davvero autentico e fecondo.

 

(tratto dagli incontri formativi per gli Apostoli di Gesù Crocifisso sulla pastorale giovanile e vocazionale)

Relatore: don Quintino Venneri, rettore della comunità del Propedeutico di Molfetta e direttore dell’Ufficio Regionale per le Vocazioni.

 

 

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